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CAPITOLO QUINTO 153 architetti nazionali e forestieri, che non ebbero ardimento di slanciare la gran cupola, questo felice ingegno più indipendentede’suoicontem poranei e più lino osservatore di quelli che lo avevano preceduto, non si lasciò sedurre dalle abitudini e dal gusto dominante, nè da tanti inferiori modelli che trovò esistenti, quantun que accreditati, Il suo sguardo penetrante si elevò al di sopra di quanto intorno a se ve deva di più insigne. I suoi antecessori avevano essi pure veduti gli avanzi dell’antica Roma, ma poco profitto ne avevano tratto a fronte di ciò ch’egli conobbe potersi a vantaggio dell’ar te dedurre. Egli si fissò lungamente tra quei resti della grandezza e del gusto greco-romano, e misurando i monumenti e combinando i rap porti delle parti fra loro, ne trasse tutte le conseguenze che la costruzione, l’eleganza, la U u grazia e le più simetriche proporzioni pre sentano a un occhio sagace indagatore di quelle bellezze. Egli seppe conoscere praticamente la dilFerenza tra gli ordini, ne vide le più costan ti e motivate applicazioni ; e ricomparso alla luce e moltiplicatosi in seguito coll’invenzione della stampa il libro di Vitruvio,e rese celebri le profonde dottrine di Leon Battista Alberti, genio insigne dell’età sua, fu operata quella prodigiosa rivoluzione nelle arti che le fece progredire con istantanea rapidità. Fu con Tom. II. io *