il; |r ;! \i ATTO ir. Tarn. Eh taci. Intanto Per degno premio al tuo cortole ardire L’ offerta di mia mano Ricevi tu con più giuflizia, Ircano. ;.j (prende la tazza itt atto di darla ad Ircano. ) Te dettino al mio Trono, all’ amor mio. Ire. (Sibari, che farò?; ' Sitar, (Mi perdo anch’io.) i Tarn. Perche taci così? forfè tu ancóra , ||-J Vuoi ricufàrmi? è-: Ire. No, non ti ricufò. Penfo. « » vorrei. * ; materno. . . ( io lem contufò. ) Sem. Principe tu non devi Un momento penlar, prendila } e bevi. Mirt, Ma parla. Mll Tarn, Ma rifòlvi. #’/ Ire. O’ rifoluto. W u Vada la tazza a terra, i 1 Scit. E qual furore infanno. • . I ; |r ’ Ire. Così riceve un tuo rifiuto Ircano. Tarn« Ah quello è troppo. Dunque ridota io fono (s'alza, e feco tutu.) A mendicar, chi le mie nozze accetti ? j 11 mio fembiante è deforme a tal legno, if f Che a farlo tollerar non balli un Regno? . !| i Sem. E' giuda l’ira tua. |l! i Mirt. Dell’ amor mio. ... ; 1 Tarn. Alcun d’amore Più non mi parli. Io fono offèfà. e voglio p! Punito i’ offenfor, Scitalce mora. ; i l Ei col primo rifiuto Il mio dono avvilì. Chi fùa mi brama A lui trafigga il petto, Venga tinto di fangue, ed io l’accetto. Tu