38 Ot T T 0 SCENA VII. Ho fi dea che sbalz.it fuori ce/t Siletta, Detti, A Nacreonte, ferma. - ('brami? Mio ben,che chiedi? anima mia.cbe Ro . Or vedrò , fe tu m’ami. A>t- Chevaneggi?chefai ? AnacScotìzu , indegno Ana. Ah Tirali ! Sii-Nó parlar:temi il fuo sde- Rcf-Co{lui,che temerario arinola deftra(gno. Cótro il mio Rè, d’altro fupplizio è degno. Io punire lo voglio . Ana/. Ah iniqua figlia ! An- Taci. Ri. Quella dònna crudel hà vn cordi fcoglio . Sii. Non fauellar. An. Silena, Collei sì follo il fuo rigor oblia? SU. Olirà è quella , Signor , dell’arte mia . An. Ma dimmi, Roliclea, ( quella Altro non chiedi ? altro non vuoi ? ito/. Sol E la mia brama, ò Sire. Ah diilionella. Rof. Col velen più mortifero, Cui polla vomitar Cerbero,e Ale tto, Vò,che mora il fellon:(ma in quello petto.) ^•Pur, che fpiri dal fen l’alma fuperba , A tèlo cedo ,ò cara, ito/. Cedimi quella chiaue. Toglie di mano la chiane della Prigione adun faldato^ Or. Quai ftrauagau7.e,ò Cieli ! • ito/. A l’Erinnipiù crude Jo fuellerò le auuelenate chiome : Empia