XI Edonide, ah, che miro ! Son fuor di me. La madre mia.... Edonide. T’inganni. Alcide. No : ravvifo in quel volto La nota maeftà : folo in mirarla Già gli ufati d’onore impeti io fento, Che quel ciglio fereno Suol con gli i'guardi fuoi dettarmi in feno. Edonide. Non più: fuggafi. E' quello De’ tuoi rifchj il più grande : e tu noi fai. ('Edonide prende per mano Alcide, e procura dì trarlo /eco.) Aretea. Ah che fai ? T ’ arreda Alcide : A feguir quell’ orme infide Non lafciarti lufingar. Edonide. E fi attento l’afcolti? ah negl’ ingiufti Oltraggi miei qual mai piacer ritrovi ? Aretea. Or ti giovi - effer accorto : Quel nocchier promette il porto, Ma conduce a naufragar. Edonide. Più non udirla amico : Siegulmi, andiam, già dubitarti aliai. Aretea. Ah che fai? T’arreda Alcide : A feguir quell* orme infide Non lafciarti lufingar. Alcide. Lafciami. {Ad Edonide.) Edonide. Non Ila ver. Aretea. Da quelle, Alcide, Violenti lufinghe A difenderci impara. In tuo foccorfo Ecco Aretea. Da lei t’invola, e meco Sul buon cammino orme ficure imprimi. Io dell’ alme fublimi Son