SECONDO. 3» _^Che fpléde in mè, onta può darfijC fcoAc Tffr- Già che tù nfc’I comandi : Celare io ti diluelo. Che colei che tant’ami, Fabra farà del precipitio tuo. Jw 7 ’ Per quahcagion * f^Sb'n-giunte (mo- * (Scufa ò Sire il mio ardir)fon giure al col- Le lafcive fue forme agli occhi altrui : C Roma ne fparla ; e tutti , Dicon >■ Cefare è cieco , Che lìegue una vilDonna,un’_épio moftro; tt. Che afcolto ! e che tù parli ! > Empia è forfè colei, perche tropp’amà , Chi deve amar! Dee. Anzi perche dimoftra ' Tròpp’aniarchi n6 deve.o.E chi fia quefti! \ec. Chi; ridir non faprei j che folto è purè «Quello ftuol d’amatori, à cui ben fpeifo Vezzi, fguardr,-eparole, . Non dovute alduo onor comparte, e dona: , !a' /i VPl inque c ' 1< r f ar deg’io perche rimanga Del torto mio , de l’error fuo benchiaro ) e c. Da cauto invigilar fu l’opre fue . Decio tù mi confondi: e il mio ripefo Sento in mè già turbato, Più che l’onda di mar per vento irato. Come l’onda Con voragine orrenda , e profonda Aggi tata da vento , ò procella j fi Fremendo, Stridendo, Là nel feno del mare fen và • ; C i Così il core e- Affidi* da fiero timore Turbato , Aggitato , Ci ii * Sol-