CAPITOLO SETTIMO 1*C) ni, quantunque decorose, che l’arte avreb be pur fatte per dipartirsi una volta da cosi sconci modelli. Questi mistici segni, questi sim boli a cui si attribuivano le prerogative della divinità (che in sostanza non erano poi altro che punti di convenzione per riunire innanzi a un oggetto materiale la moltitudine) lungamen te furono venerati presso tutte le nazioni, anco dopoché le arti furono adulte. In Roma antica stessa il culto più venerando che si prestasse a Giove era a quella rozza pietra che dicevasi Jupiter lapis ; e cosi a tante altre divinità, co me a Venere, a Minerva, che per lungo tempo ebbero un culto mistico per forza di tradizio ni religiose, assai prima che soccorsi dal bello ideale osassero gli uomini di giustificare con attributi esterni , proprj della perfezione di quelle forine che più convengono a una divi nità , la tendenza de’ loro voti e ,la lor divo zione . Lo stesso accadde alleimagini prime del nuo vo culto cristiano. Eseguite queste furtivamen te da mani inesperte, stettero nei primi tempi custodite e sepolte più come segni che come vere rassomiglianze, e la mancanza di artisti distinti, la qualità del prototipo che più della bellezza doveva esprimere 1 umiliazione e la sofferenza, non permisero in queste alcuna sor ta di perfezione. Adorati con venerazione e inni-